IL PRETORE
    Ha pronunciato, d'ufficio, fuori udienza, la seguente ordinanza di
 rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa  iscritta
 al  r.g.l.  n.  3770/1995,  promossa da Rollero Margherita, assistita
 dall'avv. Giuseppe Bosso, attore, contro l'Istituto  nazionale  della
 previdenza sociale, assistito dall'avv. Adele Olla', convenuto;
    Letti gli atti;
    Udita la discussione orale dei procuratori.
    La  parte  ricorrente  espone di essere titolare di due pensioni -
 entrambe  a  carico  dell'I.N.P.S.  -   una   diretta   ed   una   di
 reversibilita', quest'ultima con decorrenza originaria dal 1 novembre
 1969,  corrisposta  nella  misura  del  60%  dell'importo "a calcolo"
 contributivo spettante all'originario titolare, oltre le perequazioni
 successive di legge.
    E' fatto  incontroverso  che,  avverso  tale  liquidazione,  parte
 ricorrente  non  ha  proposto alcun ricorso amministrativo ne' alcuna
 azione giudiziaria, prima della presente.
    Con successiva domanda del  31  marzo  1994  (questa  volta  fatta
 seguire   dal   rituale  iter  amministrativo)  parte  ricorrente  ha
 richiesto la riliquidazione della pensione di reversibilita'  di  cui
 e'  titolare, nella misura del 60% del trattamento minimo che sarebbe
 spettato  al   coniuge,   evocando   poi   in   giudizio   l'istituto
 previdenziale  per  sentirlo condannare a riconoscerle le prestazioni
 inutilmente richieste in sede amministrativa, a decorrere dalla  data
 di   originaria   decorrenza  della  pensione  di  reversibilita'  in
 questione.
    La parte convenuta,  ritualmente  costituendosi  in  giudizio,  ha
 preliminarmente  eccepito la decadenza dell'azione giudiziaria, quale
 prevista dall'art. 47  del  d.P.R.  30  aprile  1970,  n.  639  (come
 interpretato  dall'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito
 in legge 1 giugno 1991, n. 166) per essere decorsi piu' di dieci anni
 dalla "data di comunicazione della liquidazione contenente i dati  di
 calcolo della pensione e la relativa decorrenza" (cfr. pag. 4 memoria
 costitutiva  I.N.P.S.),  chiedendo, quindi, dichiararsi inammissibile
 la domanda giudiziale, per quanto concernente  il  periodo  anteriore
 alla domanda amministrativa del 31 marzo 1994 e riconoscendo, invece,
 il  diritto  dal  primo  giorno  del  mese  successivo  a tale ultima
 domanda.
                             OSSERVAZIONI
    1. - Va, preliminarmente, evidenziato che l'oggetto del contendere
 non attiene ad un diritto diverso ed  autonomo  rispetto  al  diritto
 alla  pensione, ma semplicemente al modo con il quale quest'ultima e'
 stata originariamente  liquidata,  contestando  la  parte  ricorrente
 unicamente l'erroneita' della base di calcolo presa in considerazione
 dall'istituto.
    Non   si   versa,   dunque,   in   un'ipotesi  analoga  a  quella,
 ripetutamente e non sempre uniformemente decisa, relativa al  diritto
 all'integrazione  al  minimo,  controvertendosi invece in ordine alla
 "base imponibile" per il computo  della  pensione  di  reversibilita'
 (se,   cioe',   debba   essere   la   pensione  diretta  "a  calcolo"
 contributivo, ovvero integrata al  trattamento  minimo),  circostanza
 che   puo'   evincersi   dalle   stesse  norme  richiamate  nell'atto
 introduttivo,  relative,   appunto,   ad   aspetti   concernenti   il
 procedimento di calcolo.
   2.  -  Si deve, quindi, rilevare, per le ragioni sopra esposte, che
 il dies a quo della decadenza deve essere individuato con riferimento
 all'ipotesi  di  domanda  amministrativa  (quella  che   ha   portato
 all'originaria  liquidazione  della  pensione  di reversibilita') non
 seguita da alcun ulteriore iter amministrativo.
    3. - Cio' posto, ritiene il remittente che alla fattispecie  debba
 essere  applicato  l'art.  6,  primo  comma, ult. parte, del d.-l. n.
 103/1991, cit., il quale, testualmente, dispone: "In caso di  mancata
 proposizione  di  ricorso  amministrativo,  i  termini (di decadenza)
 decorrono  dall'insorgenza  del  diritto  ai   singoli   ratei".   Di
 conseguenza,  parte  ricorrente  sarebbe  nel  diritto di ottenere il
 pagamento di tutti i ratei maturati, mese per  mese,  da  dieci  anni
 prima  in  avanti,  rispetto  alla  nuova domanda amministrativa, dal
 richiedere ciascuno dei quali non sarebbe ancora decaduto.
    4. - Ritiene il pretore che la norma in  esame  (e,  a  monte,  la
 norma dell'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, da quella intepretata) dia
 adito     a     dubbi     di     violazione    del    principio    di
 razionalita'-ragionevolezza cui  e'  posto  a  presidio,  secondo  la
 costante  giurisprudenza  della  Corte  delle  leggi,  l'art. 3 della
 Costituzione.
    5. - La vulnerazione del precetto costituzionale teste' richiamato
 si ricava, in particolare, dal confronto tra l'ultima parte del primo
 comma dell'art. 6 del d.-l. n.  103/1991  ed  il  combinato  disposto
 degli  artt.  47,  secondo  comma,  del d.P.R. n. 639/1970 e 6, primo
 comma, prima parte,  del  d.-l.  n.  103/1991,  da  intendersi  quale
 tertium comparationis.
    Tali  norme disciplinano il caso in cui, a seguito della reiezione
 della domanda di prestazione pensionistica, l'interessato esperisca i
 previsti rimedi amministrativi, stabilendo (art.  47)  che:  l'azione
 giudiziaria puo' essere proposta entro il termine di dieci anni dalla
 data   di   comunicazione  della  decisione  definitiva  del  ricorso
 pronunciata dai competenti  organi  dell'istituto  o  dalla  data  di
 scadenza stabilita per la decisione medesima .. (omissis) e che (art.
 6):  i  termini  previsti  dall'art.  47,  commi secondo e terzo, del
 d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 sono posti  a  pena  di  decadenza  per
 l'esercizio  del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza
 determina   l'estinzione   del   diritto   ai   ratei   pregressi   e
 l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale.
    6.   -   Occorre,   ancora,   rilevare   come   la   stessa  Corte
 costituzionale, nella sentenza 29 maggio 1992, n.  246,  rettificando
 un  precedente  prevalente orientamento della Corte di cassazione, ha
 interpretato  detti  termini  come  aventi   effetti   di   decadenza
 sostanziale,  nel  senso  cioe' che il loro decorso, se non determina
 l'estinzione del diritto  a  pensione  (che  resta  imprescrittibile)
 comporta tuttavia l'estinzione del diritto a riscuotere tutti i ratei
 pregressi della prestazione previdenziale.
    Cosi'  pronunciando,  la Corte delle leggi ha ben chiarito come la
 ratio  dell'art.  47  cit.  -  interpretato  dall'art.   6   cit.   -
 consistesse,    pur    nella    riaffermazione   del   principio   di
 imprescrittibilita' delle prestazioni previdenziali,  nella  volonta'
 di  porre  un ben definito limite - e cio' anche per evidenti ragioni
 di salvaguardia delle esigenze di bilancio e di previsione  di  spesa
 dell'ente  previdenziale  - alle pretese degli assicurati, assegnando
 loro un preciso  onere  di  iniziare  l'azione  giudiziale  nel  (pur
 amplissimo)  termine  di  dieci anni a partire dall'esaurimento della
 fase amministrativa.
    7.  -  Risulta  evidente,  a  questo  punto,  la   non   manifesta
 infondatezza  del  dubbio di irrazionalita' ed irragionevolezza della
 norma dell'art. 6, primo comma, ult. parte, del  d.-l.  n.  103/1991,
 nella  parte  in cui prevede che, per coloro che non hanno percorso i
 gradi  del  contenzioso  amministrativo,   sostanzialmente   non   si
 compirebbe  mai  un  definitivo  termine  di  decadenza,  potendo gli
 stessi, come gia' osservato, con l'introduzione di una nuova  domanda
 (prima  amministrativa  e  poi,  se  del caso, giudiziale) richiedere
 tutti   i   ratei  del  decennio  precedente.  In  altre  parole,  la
 disposizione in questione,  chiaramente  confliggendo  con  la  ratio
 complessiva  della norma, quale riconosciuta dalla stessa Corte delle
 leggi nella giurisprudenza sopra  citata,  reintroduce  la  ripudiata
 categoria  della  decadenza  procedimentale  (in  tutto equiparabile,
 quanto agli effetti, alla pura e  semplice  prescrizione  decennale),
 differenziando   irragionevolmente   due   situazioni   previdenziali
 sostanziali  assolutamente  sovrapponibili,   il   cui   unico   dato
 differenziatore  e'  rappresentato  dal  previo esperimento dell'iter
 amministrativo, presente nell'un caso ed assente nell'altro (il  che,
 si  noti  ad  colorandum,  appare ulteriormente sperequativo, laddove
 viene attribuito un rilevantissimo vantaggio a chi e'  stato  invece,
 in   certo  senso,  procedimentalmente  meno  diligente,  non  avendo
 percorso la fase del  contenzioso  amministrativo,  obbligatoriamente
 prevista dall'art. 443 del c.p.c.).
    8.  -  Tirando  le fila del discorso, ritiene il remittente che le
 due differenti situazioni sopra delineate debbano essere riportate ad
 unita' nell'unico modo possibile in relazione alla ratio  complessiva
 della  norma,  vale  a  dire  prevedendo  per  entrambe un termine di
 decadenza sostanziale che, nel caso di mancato  esprimento  dell'iter
 amministrativo,  non  potra'  che  avere,  come dies a quo la data di
 scadenza dei termini prescritti per  l'esaurimento  del  procedimento
 amministrativo,  computati  a  decorrere  dalla data di presentazione
 della richiesta di prestazione.
    9. - L'indicazione del dies a quo quale teste' prospettata  trova,
 fra  l'altro,  un  preciso  riferimento  testuale  che,  ad un tempo,
 rappresenta la sicura conferma che l'intenzione del  legislatore  era
 senza  dubbio  quella  di  introdurre  rigorosi  termini di decadenza
 sostanziale in materia previdenziale.
   Si  allude  all'art.  4  del  d.-l.  19  settembre  1992,  n.   384
 (convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438), il quale, sostituendo
 i   primi   due   commi  dell'art.  47  del  d.P.R.  n.  6391970,  ha
 espressamente  previsto  e  disciplinato  il   caso   della   mancata
 proposizione  dei  ricorsi amministrativi secondo quanto testualmente
 riportato sub 8), in fine, equiparando in tal  modo  i  diversi  casi
 possibili.  Va,  per  completezza,  osservato  come  detta norma (che
 riduce, fra l'altro, i termini di decadenza a tre anni e ad un  anno,
 a   seconda  delle  prestazioni  richieste)  non  sia  immediatamente
 applicabile alla fattispecie,  richiamando  l'interpretazione  datane
 dalla  Corte costituzionale, con sentenza 3 febbraio 1994, n. 20, ma,
 viceversa, sicuramente utilizzabile come parametro interpretativo.
    10.  -  Da  ultimo  si  evidenzia,  richiamando  quanto  fin   qui
 osservato,  che  la  questione di costituzionalita' e', oltreche' non
 manifestamente infondata,  anche  rilevante,  in  quanto  l'esistenza
 delle norme impugnate impone l'accoglimento della domanda, in spregio
 al  principio  di  ragionevolezza  e razionalita' - ed in definitiva,
 anche di eguaglianza - tutelato dall'art. 3 della Costituzione.